Il tumore della cervice
- Cosa è
- Come accorgersi
- I fattori di rischio
- Come si classificano
- Come si fa la diagnosi
- Chirurgia
- Radioterapia
- I controlli
- Il rischio di recidiva
- Il tumore metastatico
La cervice è l’estremità inferiore dell’utero e collega direttamente corpo dell’utero e vagina. Il tumore origina dalle cellule che rivestono la cervice. Sebbene l’incidenza e la mortalità per questa neoplasia siano in riduzione in Italia soprattutto grazie all’introduzione del Pap test, nel mondo rappresenta ancora la seconda causa di morte per tumore nel sesso femminile.
Il segno più frequente del tumore della cervice è il sanguinamento vaginale anomalo, ad esempio in menopausa, post-coitale o in un momento diverso rispetto al normale flusso mestruale in donne in età fertile. Altri sintomi possono essere perdite vaginali maleodoranti, dolori a livello pelvico o lombare o sintomi legati alla presenza di metastasi a distanza. I sintomi compaiono spesso quando la malattia è in fase avanzata, ma la diagnosi precoce è possibile attraverso il Pap test che permette di diagnosticare lesioni precancerose, ossia lesioni non ancora tumorali, quali CIN (neoplasia cervicale intraepiteliale) o SIL (lesione intraepiteliale squamosa).
Il principale fattore di rischio riconosciuto per lo sviluppo del tumore della cervice è l’infezione da papillomavirus umano (HPV) che si trasmette per via sessuale. Altri fattori di rischio sono l’inizio precoce dell’attività sessuale, il numero elevato di partner, gravidanze multiple, giovane età alla prima gravidanza, il fumo di sigaretta, infezioni genitali e la scarsa igiene sessuale.
Il rivestimento della cervice è costituito da due tipi di cellule, squamose e ghiandolari che di conseguenza possono dare origine a due tipi di tumore, carcinoma a cellule squamose e adenocarcinoma.
Il Pap test è l’esame di primo livello che permette la diagnosi precoce del carcinoma della cervice e delle lesioni precancerose. In caso di risultato sospetto o patologico al Pap test, esami di II livello sono la ricerca del DNA dell’ HPV e la colposcopia che permette di eseguire una biopsia ed una diagnosi accurata. Gli esami radiologici quali TC, RMN e PET sono utili per definire l’estensione locale della malattia, l’eventuale presenza di metastasi a distanza e programmare la migliore strategia terapeutica.
Negli stadi più precoci può essere utilizzata la criochirurgia o la chirurgia laser, rispettivamente chirurgia che utilizza il freddo o un raggio laser per congelare o bruciare le cellule tumorali. Quando il tumore è più diffuso ma ancora circoscritto, si esegue un intervento di conizzazione, ossia la rimozione della porzione di tessuto colpito senza intaccare l’intero organo. In caso di tumore più esteso l’indicazione è l’isterectomia, ossia l’intervento chirurgico di asportazione dell’utero, se necessario dopo un trattamento chemioterapico preoperatorio. In caso di donne in menopausa, oltre all’utero vengono rimosse anche le ovaie.
La radioterapia è un trattamento locale che utilizza radiazioni ad alta energia per eliminare cellule tumorali. Può essere un trattamento alternativo alla chirurgia in pazienti non operabili per alto rischio operatorio legato ad età e/o patologie concomitanti oppure per estensione di malattia. Inoltre la radioterapia può essere utilizzata dopo l’intervento chirurgico in base allo stadio di malattia ed alla presenza di fattori di rischio con l’obiettivo di ridurre il rischio di recidiva locale della neoplasia. Si possono utilizzare due tecniche: la radioterapia a fasci esterni e la brachiterapia. La prima si basa sulla somministrazione di radiazioni provenienti da una fonte posta all’esterno della paziente. La brachiterapia prevede l’introduzione in vagina di piccoli ovuli che rilasciano radiazioni. La radioterapia può essere utilizzata da sola oppure in associazione alla chemioterapia a scopo radiosensibilizzante, ossia per potenziare il trattamento radiante.
Dopo l’intervento chirurgico e, se necessarie, la radio e la chemioterapia, è importante eseguire regolari controlli per il riscontro precoce di recidive. I controlli avvengono ogni 4-6 mesi per i primi 5 anni e annualmente dopo i 5 anni. Prevedono l’esecuzione di una visita clinica e ginecologica, l’esecuzione di una ecografia transvaginale e addominale e, se ritenuto clinicamente indicato dal ginecologo o dall’oncologo curante, l’esecuzione di una TC. La pianificazione del follow-up dipende comunque dal tipo istologico, dallo stadio e dai precedenti trattamenti
Il rischio di recidiva dipende da diversi fattori, i principali sono il tipo e il grado istologico, le dimensioni della neoplasia, lo stadio di malattia, il coinvolgimento dei linfonodi e la presenza di infiltrazione degli spazi linfovascolari. Sulla base del rischio di recidiva, lo specialista valuta la necessità di un trattamento post-operatorio, radio e/o chemioterapico, e la pianificazione dei controlli.
Quando la malattia è in stadio metastatico e non asportabile chirurgicamente, il trattamento principale è la chemioterapia. I farmaci maggiormente utilizzati sono cisplatino e paclitaxel, se possibile associati ad un anticorpo monoclonale che blocca la formazione di vasi che nutrono il tumore, bevacizumab. Diversi nuovi farmaci sono in fase di studio. I più promettenti sono gli immunoterapici. Si tratta di anticorpi che, invece di uccidere direttamente le cellule tumorali, stimolano il sistema immunitario a combattere contro la malattia.